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Sigur Ròs , la musica è tra parentesi

di Giorgio Casari

La nuova avventura dei Sigur Ròs, band islandese decisamente propensa a rendere la forma canzone qualcosa di fluido e di "magico", arriva con il nuovo disco ad un punto quasi estremo, almeno concettualmente. Il titolo dell'album è sostituito da due parentesi (che qualsiasi ascoltatore potrebbe riempire con ciò che più gli aggrada) e lo stesso dicasi per i "nomi" dei vari pezzi che lo compongono.

Pretesa, forse un po' snobistica, che la musica parli per se stessa, oppure un modo diretto di dialogare con gli altri? "Non volevamo essere per forza strani o originali. Semplicemente, dopo due album che sono stati in realtà il nostro apprendistato sonoro, abbiamo deciso di non porre nessun limite a quello che veniva fuori dai nostri strumenti e dalla nostra capacità di dialogare fra noi "empaticamente"". E' Orri a parlarci, in compagnia di Kjartan.

Per registrare "( )" avete utilizzato per la prima volta il vostro studio privato, non lontano da Reykyavik, con tanto di piscina.
Detta così sembra una situazione di lusso, ma l'Alafoss, questo il nome del posto, è una ex-piscina comunale su cui abbiamo lavorato per renderla una sala prove e di incisione. E' stato importante condividere a lungo uno spazio del genere: quando era uscito Von si può dire che ancora non ci conoscessimo, ed il nuovo disco è stato soprattutto un test per noi, per vedere anche la nostra tenuta come band.

Le canzoni non hanno ora veri e propri testi, ma si affidano al vocalese di Jon Thor, una serie di emissioni sonore che però posseggono una grande forza evocativa.
In realtà, possono assomigliare a parole vere e proprie, ma il compito di dare una forma testuale definitiva spetta a chi ascolta l'album. Nel nostro sito abbiamo anche fatto in modo che le varie proposte di testi e titoli siano archiviate e che alla fine vengano scelte quelle più interessanti, o semplicemente le più frequenti.

Una buona trovata per rendere il progetto ancora più in evoluzione: pure nei vostri concerti si avverte questo senso di indefinitezza, di sospensione.
L'esigenza di avere un pubblico e di "parlare" con gli altri è fondamentale. Senza di essa non esisterebbe la musica. Dal vivo siamo molto migliorati, ultimamente, proprio perché ci siamo concentrati su come rapportarci di fronte agli altri.

Ciò non significa rinunciare comunque ad un'espressione musicale che si potrebbe definire estrema...
Non abbiamo la percezione di un estremismo in ciò che suoniamo. In fondo, mettiamo solo a contatto i nostri gusti musicali, che sono abbastanza differenti fra di loro, con un amalgama spontaneo, molto meno alambiccato di quanto lei possa credere.

Sarà, ma mi sembra di scorgere in "( )" pure riferimenti colti, a certa musica contemporanea del secolo scorso.
Alcuni di noi apprezzano la classica, per esempio Varèse, ma nessuno vuole uscire fuori da una prospettiva che crediamo si possa ancora definire rock, o almeno che è figlia di una storia del genere. In realtà non ci poniamo il problema delle etichette, ma arrivare a raggiungere il maggior numero di persone è un obbiettivo che non si può scindere dalla sincerità nell'esprimere ciò che si prova (nessun gioco intellettualistico, quindi…, N.d.I.).

C'è poi il vostro paesaggio, che irrompe nei timbri degli strumenti e nelle melodie, calde e glaciali nello stesso tempo.
Siamo d'accordo su un'osservazione del genere. In effetti la dolcezza di molti momenti ha un risvolto che è quasi duro, brusco, senza redenzione. Un gioco sul filo e sul ribaltamento che dipende dai punti di vista e, ancora una volta, dalla sensibilità dell'ascoltatore.